L’Artivismo nero femminile: il corpo, la tecnica e la scienza.
Abstract
This thesis aims to analyse artivism as a vehicle for personal, social, and cultural change, through the work of three Black artists: Wangechi Mutu, Zanele Muholi, and Nona Faustine. Their practices focus on the experience of Blackness in an effort to reclaim their own narratives from colonial and patriarchal discourses. While discussing their artworks, three thematic focal points are explored: the body, technique, and science. Mutu’s collages, sculptures and short films deconstruct stereotypes, repurposing the Black female body as a site of power and protest. Muholi’s photographic projects capture the resilience of South Africa’s LGBTQIA+ community, using the camera as a tool of visual activism. Faustine’s art, including her body-as-monument performances, interrogates what is displayed and what is kept from view, engaging with ancestry and memory. By addressing racialized violence, gender diversity, ecological issues, and historical recovery, their work demonstrates how artivism functions as a generative force, mapping alternative pathways and reimagining futures. In conclusion, this thesis argues that the body – linked to the dynamics of performance and reality – inevitably interacts with artivism as a vehicle for resistance and transformation.
Questa tesi si propone di analizzare l'artivismo come veicolo per il cambiamento personale, sociale e culturale, attraverso il lavoro Wangechi Mutu, Zanele Muholi e Nona Faustine. Le loro pratiche si concentrano sull'esperienza della blackness, con l’intento di recuperare le proprie narrazioni dal discorso coloniale e patriarcale. Nell’analisi delle loro opere, sono stati esplorati tre temi principali: il corpo, la tecnica e la scienza. I collage, le sculture e i cortometraggi di Mutu decostruiscono gli stereotipi, rielaborando il corpo femminile nero come luogo di potere e protesta. I progetti fotografici di Muholi catturano la resilienza della comunità LGBTQIA+ sudafricana, utilizzando la macchina fotografica come strumento di attivismo visivo. L'arte di Faustine, tra cui le sue performance in cui il corpo diventa monumento, interroga ciò che viene mostrato e ciò che resta nascosto, coinvolgendo l'ancestralità e la memoria. Affrontando la discriminazione razziale, la diversità di genere, le questioni ecologiche e il recupero storico, il loro lavoro dimostra come l'artivismo funzioni come una forza generativa, tracciando percorsi alternativi e reimmaginando futuri possibili. In conclusione, questa tesi sostiene che il corpo – legato alle dinamiche della performance e della realtà – interagisca inevitabilmente con l'artivismo come veicolo di resistenza e trasformazione.