Un’assonanza e uno slittamento di senso: la madre e il mare, La Mer, il Mar Mediterraneo, il bacino di pace, di scambi culturali, economici, di lingue, di poesia; luogo di passaggi, di transiti, di migrazioni, il Mediterraneo a metà del Middle-Passage negriero e schiavista tra l’Africa e le Americhe, il Mediterraneo europeo, il Mediterraneo oggi, carico di corpi migranti, in fuga, in ricerca, in aspirazione, in morte…
Le arconti del Matriarchivio del Mediterraneo, artiste possenti quali Mona Hatoum, Zineb Sedira, Lara Baladi, Emily Jacir e Ursula Biemann, hanno già consegnato alla storia le loro straordinarie visioni di una fase della vita di questo mare che parla di desiderio, di fuga, di esilio, di una ricerca indomita di alterità. Esse hanno già indicato nelle loro straordinarie opere, come ogni memoria personale risulti essere sempre e inevitabilmente intrecciata a una memoria comune, che richiama un tempo passato e, insieme, il tempo presente, e che non coinvolge soltanto la presenza umana, ma anche gli elementi naturali, animali, vegetali, biologici. Esse hanno già inteso l’arte come “boundary event” (Trinh T. Minh-ha: 2010), un processo di differenziazione e una pratica di memoria e d’archiviazione alternativa, che chiama in causa la questione dei confini e dell’appartenenza, lo spazio, connotabile come disappropriato, espropriato, colonizzato, liberato, territorializzato-deterritorializzato, del (fuori-)luogo (E. Grosz: 2007), la geografia come categoria critica dell’ordine del sapere, l’occupazione multipla degli spazi, l’essere-situate, il posizionamento di corpi incarnati di donne (A. Rich: 1984).
Qui vorremmo invitare le artiste che sentono la responsabilità di porre argine alla violenza che tinge di sangue le acque morbide del Mediterraneo, ad aprire le preziose scatole degli attrezzi artistici per permettere la manifestazione di una, molte, infinite estetiche della migrazione, un focus di creazione politico-poetica che, sfidando ogni archiviazione neutra, di dati, nomi, corpi e bare, rivendichi la trasformazione del trauma, del dolore, e della perdita, in una collettività di cura e di attenzione, di testimonianza e di comunicazione, dell’esperienza viva e vitale delle donne, dei loro figli e amati, negli attraversamenti di questo mare che sempre più si fa abisso di morte e insieme matrice di vita, di altra esistenza e resistenza, di nuove direzioni di senso.